domenica 7 ottobre 2007

PROCESSO DI ASCOLI - UNA PENA RECORD MA IRRAGIONEVOLMENTE MITE


DI LORENZO BORSELLI

da www.asaps.it


(ASAPS) ASCOLI PICENO, 5 settembre 2007 – Gli hanno dato 6 anni e 6 mesi: Marco Ahmetovic, il rom di 22 anni che il 23 aprile scorso travolse ed uccise col suo furgone quattro ragazzi in sella ai loro scooter, dovrà scontare una pena “record”, nella sua irragionevole mitezza, per un crimine tremendo, commesso senza movente di dolo, originato semplicemente dalla certezza – che egli doveva avere – che mettersi al volante ubriaco avrebbe potuto comportare conseguenze gravissime. La strage di Appignano del Tronto mette in risalto tutte le lacune di un sistema sanzionatorio che della violenza stradale non riesce a tenere conto. Così c’è spazio per la rabbia che pare essere più cieca, perché xenofoba, c’è spazio per il legale, che cerca di mitigare la posizione del carnefice quando dice che l’alcolemia non poteva essere fonte di prova, perché effettuata nell’ambito terapeutico, c’è spazio per il Pubblico Ministero, bersagliato di telefonate minatorie perché aveva chiesto “solo” 4 anni di pena. Il nostro spazio, oggi, lo vogliamo dare ad un carabiniere: si chiama Luigi Corradetti, lavora alla Sezione di Polizia Giudiziaria della stessa procura che ha istruito il processo contro il killer di suo figlio. In tv Luigi è dignitoso, anche in borghese, con solo gli occhi lucidi a tradire la sua angoscia, la disperazione in attesa di un verdetto che non potrà mai lenire, nemmeno in parte, la sofferenza che può avere un genitore rimasto solo al mondo. Comprendiamo il delicato compito che l’ufficio di legale comporta, ma facciamo meno fatica a stare dalla parte del più debole, quella delle vittime, rimaste senza vita attorno ai relitti bruciati di quattro motorini. Il Pubblico Ministero Carmine Pirozzoli aveva chiesto la condanna a 3 anni e 6 mesi per omicidio colposo plurimo, contestando anche la colpa con previsione dell’evento. In termini giuridici si chiama “colpa cosciente”, ma la sua incidenza sulla pena è davvero infima. Potremmo essere già soddisfatti se parlassimo di “dolo eventuale”, ma in Italia questa linea non passa, almeno per il momento. Proprio per questo motivo, la sentenza di Ascoli è paradossalmente una delle più dure, forse la più dura in assoluto, per quello che comunque viene classificato un incidente mortale. Anzi, un incidente “stradale” mortale. “Ci sono varie testimonianze, raccolte in bar della zona – ha detto in aula Pirozzoli – che attestano lo stato di alterazione di Ahmetovic”, riferendosi all’assunzione di bevande alcoliche. L’ubriacatura era cominciata nel pomeriggio, con una sorta di pellegrinaggio tra un locale e l’altro: un barista di Castel di Lama, la cui deposizione è agli atti, ha dichiarato che quando l’Ahmetovic è uscito dal suo locale, siamo alle 22 circa, era completamente ubriaco. Qui ci dobbiamo fermare un attimo per una riflessione: prima di uccidere era solo un ubriaco, dopo invece è diventato il capro espiatorio per tutta la tensione che i rom provocano nel nostro paese con le loro ruberie, con le loro questue moleste, con le loro tracotanze. Dopo è divenuto un assassino, un omicida colposo (o coscientemente colposo): ma perché dargli da bere? Perché in Italia ci si accorge dei malestri solo dopo averli combinati od aver in qualche modo concorso a provocarli? Un ubriaco, quando beve, perde progressivamente la propria capacità critica. Ergo, vuole bere ancora. E più beve, più si ubriaca. Il codice penale, all’articolo 691, dice chiaramente che “…chiunque somministra bevande alcooliche a una persona in stato di manifesta ubriachezza, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno. Qualora il colpevole sia esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o bevande, la condanna importa la sospensione dall'esercizio…”. Rivediamo la domanda: viviamo in un paese in cui la legge è uguale per tutti o, semplicemente, quando ci fa più comodo? È vero, e lo abbiamo dimostrato effettuando un’accurata ricerca sulle cifre della sinistrosità, che una congrua parte di incidenti mortali è provocato da cittadini stranieri, spesso in stato di ebrietà. Ma quando ad uccidere è un italiano, la mitezza della pena prevista per legge e dalla consolidata giurisprudenza di merito, di solito offende solo l’erede della vittima. Colui che sente il liquidatore della compagnia assicurativa di turno offrire un “ristoro” ridicolo, o che ascolta incredulo il giudice rimandare a casa l’omicida del proprio congiunto con una condanna a 6 mesi, pena sospesa, e la patente di nuovo in tasca. Per la vittima la parentesi terrena è finita, per l’erede della vittima la vita è distrutta, per l’omicida si chiude una grana. E noi chiudiamo questa parentesi per tornare all’arringa del sostituto procuratore Carmine Pirozzoli: le indagini della polizia giudiziaria avevano rivelato che il tasso alcolemico dell’imputato, misurato in ospedale subito dopo l'incidente, era altissimo. Tre giorni dopo, analisi in carcere, avevano poi confermato che l’Ahmetovic è un bevitore abituale. Però, aveva la patente. Così come ce l’hanno la gran parte dei recidivi alla guida in stato di ebbrezza, perché gli strumenti legali (anche amministrativi) non consentono grosse performance punitive. Si pensa a sanzionare chi sosta col motore acceso, ma si fa un grosso regalo a chi si rifiuta di soffiare nell’etilometro. Solo noi, delle forze dell’ordine, sappiamo quanti Ahmetovic in doppiopetto se ne vanno in giro il sabato sera. Il legale dell’imputato, Felice Franchi, non commenta, rimandando eventuali dichiarazioni a quando potranno essere spulciate le motivazioni dell’appello. Lui, bersaglio di minacce come il PM o il GIP, si limita a prendere atto della decisione del giudice: nella sua arringa, aveva cercato di smontare la tesi accusatorie, chiedendo il minimo della pena. A leggere l’articolo 589, ci sembra un po’ pochino, ma di solito – quando nelle aule il clima non è caratterizzato da tanta attenzione mediatica – 6 mesi e spiccioli sono una consuetudine. A dirla tutta, stavolta, ci sono stati anche applausi ironici e fischi da parte dei familiari delle vittime, ai quali Franchi ha risposto con una disarmante verità: “Questa è la legge, per cambiarla rivolgetevi ai legislatori che mandate a Roma, non è colpa degli avvocati, dei magistrati inquirenti o dei giudici se le leggi sono queste”. Non è allora colpa neanche dell’Ahmetovic.
Il Giudice, quando è uscito, non ha accolto nemmeno uno degli appigli del difensore. È andato oltre le richieste del Pubblico Ministero ed ha condannato l’imputato, ritenendolo colpevole di omicidio colposo plurimo, resistenza a pubblico ufficiale e guida in stato di ebbrezza, con le aggravanti della colpa cosciente con la previsione dell'evento prevalenti sulle attenuanti (la sua incensuratezza): il che significa 6 anni e mezzo di prigione, 20 giorni di arresto, 715 euro di ammenda ed il pagamento delle spese processuali. Alla pena si aggiunge la misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e custodia per sei mesi, e il divieto di frequentare per un anno osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche, una sanzione pecuniaria amministrativa di 1.500 euro e la revoca della patente di guida. Ci sovviene una domanda: perché allora non la si revoca a tutti quelli che, recidivi, non hanno ancora ucciso, risparmiandoci così questo mare di sofferenze e di angosce? Basteranno questa condanna, che comunque la si veda è irragionevolmente mite (per colpa di un sistema che della strada non vuole comprendere le sue peculiarità criminogene) ed un risarcimento assicurativo di 200mila euro per ogni vittima, a rendere soddisfazione a chi resta? Noi sappiamo che no, non basta affatto. (ASAPS)